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Una Poesia al giorno. ‘Una sera di marzo’ è una lirica del poeta Alfonso Gatto

by Roberto Tanoni

Una sera di marzo è una lirica del poeta Alfonso Gatto (Salerno, 17 Luglio 1909 – Orbetello, 8 Marzo 1976) contenuta nella raccolta La storia delle vittime (Mondadori, 1966).

La poetica di Gatto si inserisce a pieno titolo nella corrente ermetica, di cui si fa portavoce tramite il proprio stile connotato da frequenti ricorsi all’uso dell’analogia (che accosta due elementi che apparentemente non sono collegati,   dell’ellissi e dell’allitterazione per sottolineare il valore fonico della parola.

La raccolta Storia delle vittime segna un punto di svolta nella produzione poetica di Alfonso Gatto: per la prima volta l’autore abbandonava il disimpegno ermetico a favore di una poesia di resistenza che si faceva promotrice di valori civili.
Le sue opere furono apprezzate in particolar modo da Eugenio Montale, che lasciò sulla tomba del poeta una dedica straziante:

Ad Alfonso Gatto/ per cui vita e poesie/ furono un’unica testimonianza/ d’amore.

Una sera di marzo evoca il legame profondo che, nella scrittura di Gatto, univa inestricabilmente vita e poesia.

Fu in quel tempo di marzo che nel cielo
guardando alla città di sera, al volo
delle sue prime rondini, più solo
mi vidi, ma con tutti.
Come a un gelo
dischiuso dal tepore, gli occhi fissi
all’accadere di quel mutamento,
ricordavo nel vivere che vissi.
E distratto così nel farmi intento
al mio segreto sorgere dal nulla,
trovavo nella voce le parole
da raggiungere, padre, madre, culla,
la terra che s’illumina nel sole.
Nel cielo di Milano d’agro e d’oro
nella sera di marzo, per l’oriente
affacciata a guardare era la gente
della mia voce e del mio volto, coro
di povertà che invoca dalle cose
il suo nome perpetuo. Non rispose
l’azzurro che vedevo farsi oscuro
presentimento, non rispose il muro.

 Le sue atmosfere ricordano la crepuscolare Ed è subito sera di Salvatore Quasimodo. Anche Gatto osservando l’imbrunire e il cielo di marzo invaso da uno stormo di rondini percepisce l’ineludibile solitudine dell’uomo e la rende con un’espressione per certi versi antitetica: “più solo, mi vidi, ma con tutti”.

 

…il poeta sembra chiedere quella ragione al cielo. Pone al cielo una domanda esistenziale, ma il cielo non risponde: anzi l’azzurro sfuma rapidamente nella notte, come un presentimento oscuro.

Proprio in una sera di marzo Alfonso Gatto perse la vita. L’8 marzo del 1976 si mise in viaggio lungo l’Aurelia diretto a Roma, a bordo di una Mini Minor. L’auto sbandò andando fuori strada nei pressi della Torba di Capalbio e il poeta spirò poco dopo, sul far della sera

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