Il presente articolo (Qui solo in parte riportato. Ecco il link per leggerlo interamente https://www.colombaria.it/rivistaonline/archives/1482) è il testo della conferenza tenuta dal Prof. Roberto Barzanti nella sede dell’ Accademia Toscana la Colombaria, il 19 novembre 2019, nell’ambito del ciclo di lezioni promosso dall’Accademia stessa
«IO NEL PENSIER MI FINGO»
L’Infinito di Leopardi duecento anni dopo
Propongo di leggere – rileggere – L’infinito come un frammento filosofico in forma di poesia sentimental-naturale a tessitura “sensistica”. E non uso “frammento” corrivamente riferendomi all’accezione letteraria primo novecentesca, tanto di moda in Italia. Intendo dire che l’idillio di Giacomo esprime in distillati termini lirici un’esperienza che si denuncia aperta e lascia adito a una molteplice serie di interpretazioni, sollecita riflessioni che ci interrogano generando una gamma di possibili risposte. Un frammento che narra, vivisezionandola con l’intelletto – fino al limite dell’intelligibile – un’avventura spaesante dell’anima. “Frammento” in qualche modo nel significato che gli dà Leopardi nello scritto attribuito a Stratone da Lampsaco.
Del resto lo Zibaldone non è un percorso tra frammenti, aforismi, abbozzi, e, come l’estensore amava dire, preludi? Indosso in quest’esercizio i panni di un dilettante che in anni lontani iniziò a studiare Leopardi e poi non l’ha piú abbandonato, pur senza possedere l’armamentario scientifico e l’attrezzatura filologica necessari. Chi avrà la pazienza di ascoltarmi dovrà perdonare imprecisioni e approssimazioni, notazioni ovvie e abusate. Ho avuto il coraggio di accettare il cortese invito rivoltomi da Michele Feo a nome dell’Accademia toscana di scienze e lettere «La Colombaria», ben sapendo che avrei potuto offrire solo un esempio di come la fortuna di questa conosciutissima poesia sosti oggi in una persona appassionata e volenterosa: nulla di piú.
Com’è buona regola, inizio dalla spiegazione del titolo prescelto: idillio senza figure, perché di figurazioni vere e proprie nei quindici versi quasi non esistono. Si nominano genericamente un colle, la modesta altura del Monte Tabor, e una siepe, senza accompagnarli con qualificazioni descrittive di taglio veristico e/o geografico. La scenografia è talmente ridotta ed elementare che non si sa davvero come si possa ritener lecito il titolo di idillio, di un genere, cioè, che all’origine presupponeva l’esecuzione di una piccola immagine disegnata per ritrarre un paesaggio animato da presenze naturali o umane. In effetti L’infinito – con la minuscola, dopo le due prime stampe con la i maiuscola che tanto hanno eccitato tendenziosi esegeti – è un anti-idillio.
Gli elementi costitutivi sono soggettivi e ineriscono al monologo del protagonista, alla sua posizione di solitario vagante promeneur, alle percezioni dell’animo suo, non alla descrizione delle cose. Giuseppe Ungaretti disse in una lezione che si trattava di un titolo «di tono ironico», poiché il tema non è l’infinito concettualmente inteso. La sua essenza consiste piuttosto in «una rappresentazione del finito» ed è affidata a un «miracolo verbale» :
«In Leopardi – aggiunse – l’ironia verrà sempre a rammentarci, nei piú alti momenti, che anche il dono della poesia è illusione»6 e precisò, a scanso di equivoci: «Per ironia intendiamo quell’umana disposizione dello spirito che in ogni atto vede implicita la sua contraddizione» . Non voglio anch’io cadere in contraddizione sbilanciandomi in analisi delle fonti o scartabellando nel cumulo di testi da cui evincere derivazioni, affinità, lemmi impiegati o echeggiati nel piú commentato e memorizzato “a solo” del romanzesco canzoniere.
La definizione di Ungaretti – ironica a sua volta – non convince. Mi atterrei a quanto suggerisce Luigi Blasucci nel saggio sui titoli dei Canti classificandolo tra quelli «“forti” per la loro potente carica designativa, frontale »8.
Il fatto è che Leopardi vi esalta l’inappagato desiderio di infinito che spinge a sfidare la finitezza del piacere, il limite infrangibile dell’effimera vitalità dell’individuo. Circa gli autori convocati in chiavi diverse a costruire il frutto poetico di sensazioni immediate e di un’elaborazione calcolatissima sarà sufficiente che ne ricordi alcuni probabilmente alla base di singolari soluzioni o di esplicite occorrenze. Il che non deve indurre né a degradare il risultato di tanto lavorio a pura pagina impressionistica di un sapiente journal, né a farne una sorta di centone di prestiti da opere frequentate con predilezione. Rispolvero un magistrale ammonimento di Giorgio Pasquali:
«Io non cerco, io non ho mai cercato le fonti di una poesia […]. La parola è come acqua di rivo che riunisce in sé i sapori della roccia dalla quale sgorga e dei terreni per i quali è passata […] in poesia culta, dotta; io ricerco quelle che da qualche anno in qua non chiamo piú reminiscenze ma allusioni, e volentieri direi evocazioni e in certi casi citazioni. Le reminiscenze possono essere inconsapevoli; le imitazioni, il poeta può desiderare che sfuggano al pubblico; le allusioni non producono l’effetto voluto se non sul lettore che si ricordi chiaramente del testo cui si riferiscono»9.
Si sa che il 1819 fu un annus horribilis per Giacomo. La cornice biografica va tratteggiata con parsimonia. Darle un ruolo eccessivo sminuirebbe a documento un testo che una sua organica autonomia, svincolata da un puntuale riflesso di incidenti e guai capitati all’autore. E anche le letture o gli incontri precedenti la composizione non servono piú di tanto a capire ciò che si manifesta in un raggiungimento che sovrasta l’incidentale: i materiali di cui è intessuto hanno lo statuto di mezzi rispetto a un fine che li travalica o li assorbe in un edificio che andrà indagato nei dettagli e scoperto nei molteplici significati che trasmette.
Nell’agosto era fallito il tentativo di fuga dalla prigione di Recanati. Ed era un progetto di fuga dall’ossessiva pedagogia dell’anziano settantacinquenne gesuita padre Giuseppe Maria de Torres, da un’erudizione subita con sofferenza e da un’attività letteraria svolta senza convinzione: una liberazione alla ricerca di gloria e notorietà in un contesto lontano dal «borgo selvaggio».
Alla delusione per il drammatico scacco si aggiungevano i fastidiosi disturbi alla vista, che toglievano il piacere della lettura e condannavano all’inazione…..
Per chi volesse continuare la lettura dell’importante ed esplicativo testo del Prof. Barzanti puo cliccare sul lik https://www.colombaria.it/rivistaonline/archives/1482
Cosa è l ‘ACCADEMIA “LA COLOMBARIA”
Trecento anni di libera ricerca – Accademia Toscana di Scienze e Lettere “La Colombaria” si divide nelle quattro classi seguenti
FILOLOGIA E CRITICA LETTERARIA
Michele Feo, Presidente – Maria Serena Funghi, Segretario – Maria Fancelli, Rappresentante dei Corrispondenti
SCIENZE STORICHE E FILOSOFICHE
Beatrice Paolozzi Strozzi, Presidente – Renato Piero Maria Pasta, Segretario – Lea Campos Boralevi, Rappresentante dei Corrispondenti
SCIENZE GIURIDICHE, ECONOMICHE E SOCIALI
Enrico Spagnesi, Presidente – Luigi Lombardi Vallauri, Segretario – Giovanni Furgiuele, Rappresentante dei Corrispondenti
SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
Vincenzo Ancona, Presidente – Guido Chelazzi, Segretario – Carlo Bartolini, Rappresentante dei Corrispondenti
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