Partendo da un libro, quello del gesuita Carlo Maria Curci, pubblicato nel 1846, emerge anche la possibilità che il poeta Giacomo Leopardi sia morto (il 14 giugno del 1837) a Castellammare di Stabia, dove si era recato per la cura delle acque. La traccia è rappresentata da una lettera contenuta nel testo di Curci, una missiva che gli fu inviata dal suo confratello Francesco Scarpa. Della circostanza che il poeta sia morto, dopo essersi recato nella città stabiese, è convinto lo storico Angelo Acampora, che – è riportato nell’articolo de la Repubblica, che ha realizzato un focus sul mistero del decesso di Leopardi – si occupa di storia del Grand Tour e di viaggiatori stranieri in penisola sorrentina da oltre trent’anni.

Ma qui s’inserisce la figura di Antonio Ranieri e il mistero sulle spoglie di Leopardi. L’amico di Giacomo fece di tutto per negare che la morte del Recanatese fosse dovuta al colera, ma andasse invece attribuita a idropisia. Nella biografia ” Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi”, Ranieri scrisse: ” E il mercoledì, quattordici di giugno, alle ore cinque dopo il mezzodì, mentre una carrozza l’attendeva, per ricondurlo (ultima e disperata prova) al suo casino, ed egli divisava future gite e future veglie campestri, le acque, che già da gran tempo tenevano le vie del cuore, abbondarono micidialmente nel sacco che lo ravvolge, ed oppressa la vita alla sua prima origine, quel grande uomo rendette sorridendo il nobilissimo spirito fra le braccia di un suo amico che lo amò e lo pianse senza fine”.

Raccontando del clima di Capodimonte, Ranieri ricordò come i medici consigliarono di portare il poeta per l’autunno “all’azione vivificante, e prodigiosamente diuretica insieme, dell’aria vesuviana”, ricordando che Leopardi nell’agosto 1836, ” al primo ed ancora lontano annunzio” del colera ” desiderò di ridursi nel suo casinuccio” a Torre del Greco.

Queste considerazioni spingono Acampora a ipotizzare che proprio per l’aggravarsi della malattia è attendibile la testimonianza del gesuita Scarpa sulla presenza del poeta a Castellammare, dove stava provando a trovare sollievo dai suoi malanni e a sfuggire al colera. Come proverebbe il fatto che il suo corpo non è stato mai rinvenuto e che in quella che Ranieri aveva indicato come sua tomba nella chiesa di San Vitale a Fuorigrotta nel 1900 vennero ritrovati pochi resti ossei non compatibili con quelli di Leopardi, e che quindi, morto di colera, il corpo sia finito nelle fosse comuni delle Fontanelle.

Per seppellire un morto in una cappella gentilizia dall’aprile del 1837 a Napoli era necessario l’assenso reale. Napoli nel 1837 aveva 351 mila abitanti, e i morti di colera furono 28 mila. Il distretto di Castellammare registrava 133 mila residenti, e i morti per colera furono duemila.

Acampora ipotizza quindi che Leopardi morì a Castellammare, in carrozza, forse di ritorno da una delle sue visite alle terme. E che per evitare venisse sepolto in una fossa comune, Ranieri lo riportò a Napoli, nella casa di vico Pero 2, quartiere Stella, dove fu dichiarato morto.