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Recanati. I dolci e salati della tradizione pasquale ricordati da Giacomo Leopardi

by Roberto Tanoni

Nelle nostre Marche i piatti della tradizione pasquale   sono gli stessi sapori apprezzati da Giacomo Leopardi, che il 17 marzo del 1826, lontano da Recanati, scriveva alla sorella Paolina: “Salutami il curato e don Vincenzo, e dà loro a mio nome la buona Pasqua, che io passerò senza uovi tosti, senza crescia, senza un segno di solennità”. La tradizione era che nella colazione del mattino di Pasqua non dovevano mancare mai le uova sode e la crescia al formaggio, oltre alla coratella di agnello e al ciauscolo conosciuto già dagli antichi romani che lo usavano come insaccato da portarsi in battaglia come cibo pronto all’uso

La ”crescia” di Giacomo nelle nostre parti  ha due versioni, una dolce e l’altra salata. Quella dolce prevede l’impiego di uova, zucchero, canditi, uva passa e lievito.  Quella salata o “brusca” si caratterizza, nell’impasto di uova e farina, per la presenza di parmigiano, pecorino e una bella manciata di pepe.

Il pranzo di Pasqua consta di due primi: uno in brodo, solitamente con i capellini all’uovo, stracciatella o passatelli, e l’altro asciutto: tagliatelle al sugo o vincisgrassi, ma anche ravioli al ragù.

Come seconda portata non può assolutamente mancare l’agnello, che sia fritto o arrosto. Quanto agli antipasti, ormai in declino le uova sode, spazio alla frittata con la mentuccia, accompagnata da salame e ”pizza al formaggio”: la crescia si chiama così anche a Matelica, Jesi, Fabriano.

La Palomma o Palomba o colomba è un dolce preparato con un impasto di uova e farina con l’aggiunta di zucchero simile alla crescia dolce, con mistrà e una buccia di limone grattugiata, il tutto prima scottato in acqua bollente e poi cotto al forno.

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