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Leopardi, lo scienziato che vide l’infinito…

by Roberto Tanoni

Leopardi, lo scienziato che vide l’infinito

Da un articolo apparso su Il Giornale a firma di Massimiliano Parente ci viene lo spunto per affrontare un argomento molto importante: Leopardi, il primo letterato scienziato…Infatti la formazione del poeta recanatese è anche e soprattutto scientifica.

Monaldo offre al figlio Giacomo dei preparati da guardare l ‘estremamente piccolo con una sorta di microscopio rudimentale. Fa anche costruire uno scheletro per lo studio dell’anatomia… insomma appaga tutte le curiosità del primogenito dal punto di vista sperimentale…

 

… il suo Compendio di storia naturale –scrive Parente-  (appena ripubblicato da Mimesis, insieme a un altro saggio giovanile dello scrittore di Recanati: un Saggio di chimica e storia naturale), un quadernetto del 1812, dimostra tutto l’interesse per la scienza del giovane Giacomo, indispensabile per capire… Regno animale, regno vegetale, regno minerale, Leopardi divora tutto, vuole sapere tutto. Chiedendosi se farà mai niente di grande, e paragonandosi a un orso in gabbia: «Farò mai niente di grande? Né anche adesso che mi vo sbattendo per questa gabbia come un orso?».

 

Studia le formiche e le api e ne elogia l’organizzazione sociale, superiore a quella umana, la quale «manca di unità». Osservando come «la società non è già propria del sol uomo, le formiche la fanno per trasportar pesi, le api hanno un loro governo». Ma già qui si intravede la visione leopardiana dell’esistenza, perché un giardino è bello visto da lontano ma osservato nel piccolo è una lotta per la sopravvivenza, di «offese e difese». Non esiste idillio che non nasconda sofferenza biologica, la spietatezza della natura.

Gli studi scientifici lo portano a approfondire ogni argomento, perfino la chimica e l’arte culinaria ….     Leopardi appare anticipatore perfino delle moderne neuroscienze, rispetto a molte credenze filosofiche dell’epoca, nel valutare il pensiero in funzione della materia, e prodotto dalla materia. Il 18 settembre del 1827 annota infatti: «Che la materia pensi, è un fatto. Un fatto perché noi sentiamo corporalmente il pensiero: ciascuno di noi sente che il pensiero è nel suo braccio, nella sua gamba; sente che egli pensa con una parte materiale di sé, cioè col suo cervello». Tanto neuroscienziato, che si interessava ai minicervelli degli insetti, ragni, vespe, calabroni, mosche, zanzare, grillotalpe, perfino ai «mirmicoleoni», che altro non sarebbero che i formicaleoni…

Del resto, Leopardi così scrive nei Detti memorabili di Filippo Ottonieri: «Osservando insieme con alcuni altri certe api occupate nelle loro faccende, disse: beate voi se non intendete la vostra infelicità». Stessa cosa vale per gli umani: per Leopardi sono beati gli antichi, perché erano più ignoranti e potevano essere felici. E pensare che Leopardi muore nel 1837, ben prima della teoria dell’evoluzione di Charles Darwin, che avrebbe rotto definitivamente l’equilibrio tra scienziati e umanisti, cosa a cui non erano riusciti neppure Copernico, Galileo e Newton…

 

Con Charles Darwin si apre un baratro da cui gli umanisti si terranno ben lontani e che porterà alle conferme dei fossili, del DNA, della biologia molecolare (per non parlare delle scoperte astronomiche e poi atomiche e subatomiche), e a togliere all’uomo (e all’universo) qualsiasi finalità metafisica. Ma in fin dei conti, per Giacomo, sarebbe cambiato poco, perché resta ancora valido, anzi ancor di più, il suo «tutto è nulla, solido nulla». ..

…E noi aggiungiamo: Nichilista? No semplicemente realista!

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