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11 settembre 2001. “Io ero là”. Giancarlo Pettorino in quei giorni era a New York. I suoi drammatici ricordi

by Roberto Tanoni

 11 settembre 2001. “Io ero là”. Giancarlo Pettorino in quei giorni era a New York. I suoi drammatici ricordi

il pensiero corre a 20 anni fa quando ci fu l’attacco terroristico alle Torri Gemelle a New York che provocò la morte di 2.977 persone: le vittime a New York furono 2.753, 184 quelle al Pentagono, 40 tra i passeggeri del volo 93.

“Io ero là, racconta il recanatese Giancarlo Pettorino, al centro di Manhattan, per seguire un corso di specializzazione per batteria e percussioni. Era arrivato a New-York alla mezzanotte del giorno prima dell’attentato e, abitando a Brooklyn, quella mattina aveva preso la Qline, che è la metropolitana che arriva a Union Square. Già dal finestrino del treno, che stava attraversando il ponte che congiunge Brooklyn con Manhattan, ho visto la prima torre andare a fuoco. Subito non mi sono reso conto, ma appena sono arrivato a Union Square ho avvertito il dramma che questa città stava vivendo.

Appena sceso dal treno mi sono incamminato a piedi verso la scuola, ubicata alla Zave 14street. Mentre camminavo ho sentito il secondo impatto contro l’altra Torre. Arrivato a scuola, c’era il caos generale, tanto che è scattato subito l’ordine di non lasciare l’istituto musicale, ma, contrariamente alla disposizione impartita, sono uscito insieme ad un altro ragazzo americano per andare a vedere cosa stesse accadendo. Ci siamo avvicinati sempre più alle Torri, ma ad un certo momento è iniziato a venirci incontro un fumo allucinate. Allora abbiamo deciso di fermarci e di ritornare indietro.

Ho provato a telefonare ai miei genitori per tranquillizzarli già la mattina dell’attentato, ma le linee erano tutte interrotte perché non funzionava nulla, né internet né i cellulari. Sono riuscito a mettermi in contatto con loro solo dopo due giorni. Quando la sera sono ritornato nella mia casa di Brooklyn a piedi, perché la metropolitana era chiusa, camminando per circa due ore, appena dentro, la montatura di un paio di occhiali, che erano vicini alla finestra della camera, che avevo lasciato socchiusa, si era squagliata per il calore.

Sono rimasto a New York tre mesi e per tutto questo tempo ha continuato ad uscire il fumo dalle macerie. La sensazione più forte che ricordo di quei giorni terribili, a parte il caos generale e questa isteria collettiva, sono le parole di una donna, che ripeteva continuamente che quello che era successo era il prezzo che l’America pagava per i danni che aveva provocato nel mondo. L’altra, l’ho vissuta la sera dopo, quando mi sono inoltrato da solo in Time Square, il luogo più visitato di Manhattan. In quel momento era tutto deserto, tutto spento e sentivo i miei passi mentre camminavo sopra mezzo centimetro di cenere. Un silenzio surreale.

Infine l’immagine di un marine che era seduto a terra con le mani sul volto che piangeva”.

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