Quando un libro uscito in prima edizione quarant’anni fa resiste e viene riproposto intatto, come nel caso del saggio di Antonio Prete dedicato a Giacomo Leopardi (’Il pensiero poetante’, nel 1980 edito da Feltrinelli, ora da Mimesis), è segno che resta un fulcro fondamentale nella vastissima bibliografia su un protagonista oggetto di incessanti esplorazioni.

La prefazione era datata 1979. Prete, quarantenne, insegnava nella giovane Facoltà di Lettere di Siena, dove aveva esordito nel 1976 con un corso sulle ’Operette Morali’ e aveva proseguito poi con lezioni sullo ’Zibaldone’, sempre per la cattedra di Letteratura italiana moderna. Sicché si può dire che il volume nacque dal lavoro svolto nella vivace fucina di Fieravecchia. E anche per questo è stata messa in programma dall’Accademia degli Intronati, in collaborazione con i Fisiocritici, una conversazione che ha lo scopo di approfondire temi che aprirono un confronto su un nodo cruciale della fortuna critica del grande recanatese.

Con quello spiazzante titolo Prete tagliava corto con l’impostazione idealistica che regnava nella vulgata non solo scolastica. La distinzione più o meno rigida tra l’attività poetica e le meditazioni scientifico-filosofiche del geniale conte era da abbattere. Il pensiero si condensa e si esprime nei versi dei ’Canti’, come nella scrittura diaristica e progettuale dello ’Zibaldone’. Il confine disciplinare dei generi era da abolire ed era piuttosto da mettere in risalto l’intreccio costante tra idee e posizioni proprie dei famosi Idilli e le considerazioni sul prediletto Rousseau o su prodotti illuministici o su quelli canonici imposti da un’educazione severamente cattolica. In Leopardi il sogno di un pensiero che sfocia in poesia, sul modello dell’antica sapienza non era separabile dall’indagine del filosofo naturale. Se non pensiero negativo, era un pensiero interrogativo su un’ingannevole modernità.

Ed ecco i capitoli sul piacere irraggiungibile perché mosso da un desiderio illimitato e costretto, invece, alla finitezza e all’illusione dell’infinito. Via via che procede negli anni, Leopardi si sente estraneo all’ideologia romantica, si oppone al delirio dello spiritualismo, rifiuta le rassicuranti previsioni di un progresso quantitativo e geometrico, approda con ’La ginestra’ a un nichilismo combattivo che invoca la solidarietà del genere umano contro il male ch’è nel mondo. Il fiore della poesia nasce da un pietrificato deserto. Prete sottolinea oggi che quando scrisse il libro i riferimenti suoi erano Benjamin, Adorno, la Scuola di Francoforte e, tra i francesi, Blanchot, Barthes, sopra tutti Michel Foucault. Il titolo era ritagliato da un articolo del discusso Heidegger su Hölderlin e Rilke. Sarà interessante interrogare dopo tanti anni l’autore di quel rivoluzionario saggio cult. La conversazione, aperta al pubblico, domani, ore 17, all’Accademia dei Fisiocritici.

Roberto Barzanti