E’ tratta da IL Dialogo di un venditore di almanacchi e un passeggere una delle Operette morali meglio riuscite di Giacomo Leopardi: la prosa è pervasa da una sagace ironia, da uno scambio di battute vivace e concitato e, infine pur nel pessimismo più cupo, sembra brillare inaspettato il lume di una speranza.
Giacomo Leopardi, ci ha una preziosa riflessione filosofica che non cessa mai di dire quel che deve dire.
Il poeta di Recanati nel 1832 compose una brevissima opera, Il Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere, che avrebbe poi inserito nella seconda edizione delle sue Operette morali
Il dialogo tra il venditore di almanacchi e il viandante si focalizza appunto sull’anno che verrà e, per la sua particolare attinenza con il periodo di capodanno, è diventato molto celebre.
La chiave di lettura del dialogo leopardiano è contenuta in quella domanda posta dal viandante al venditore di almanacchi:
“Credete voi che sarà felice questo anno nuovo?”
Non è esattamente ciò che ci chiediamo tutti in questi ultimi giorni del 2021? Scopriamo la risposta di Leopardi.
Le Operette morali, pubblicate per la prima volta nel 1824, Giacomo Leopardi raccolse una serie di prose di carattere filosofico nelle quali esprimeva il suo sistema di pensiero. Leopardi compose Il dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere dopo un intervallo di cinque anni dalla prima edizione delle Operette morali e lo aggiunse, in penultima posizione, alla seconda edizione dell’opera pubblicata nel 1832.
Il Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere è ambientato per strada, in una città di cui non viene indicato il nome ma identificata dai critici come Firenze o, più probabilmente, Roma. Olmi il famoso regista in un suo cortometraggio dallo stesso titolo del Leopardi lo collaca a Milano
Alla vigilia dell’anno nuovo un passante (passeggere) chiede a un venditore di almanacchi e lunari se, a suo parere, l’anno che verrà sarà felice.
“Certamente!” risponde il venditore.
Da qui si sviluppa un intenso scambio di battute tra i due che si trovano inaspettatamente a filosofare su un futuro senza speranza e un impossibile ritorno al passato. La sicurezza iniziale del venditore – che afferma senza esitazioni la felicità dell’anno a venire – via via viene meno di fronte alle risposte del passeggere che demolisce l’ingenuità benevola del suo interlocutore a colpi di ironia.
Tutti gli uomini, osserva Leopardi nelle vesti del passeggere, sono portati ad avere fiducia nel futuro che ancora non conoscono. Per dimostrare la sua teoria, il viandante chiede al venditore se vorrebbe che quello venturo assomigliasse a un anno già vissuto. Ma la risposta del venditore è emblematica:
“Cotesto non vorrei.”
Poiché nessun uomo vorrebbe rivivere la vita passata tale e quale, senza poterla cambiare, con tutto il suo carico di delusioni, frustrazioni e lutti. Ciò che fa ben sperare nell’anno nuovo è proprio quel futuro che ancora non si conosce.
Con sagacia dunque Leopardi svela il mistero della speranza stabilendo un netto confronto tra il tempo passato – dove tutto si è già compiuto in maniera irrimediabile – e il tempo futuro in cui tutto è ancora possibile. Dinnanzi alla possibilità di scelta l’essere umano sceglierà sempre il tempo futuro e, dunque, la speranza perché “Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce”.
Conclude il passeggere:
Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll’anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?
Il viandante smaschera quindi l’illusione del venditore di almanacchi – e di tutti gli uomini – nei confronti dell’anno venturo. L’intero dialogo è costruito come una sorta di procedimento socratico in cui Leopardi – attraverso la voce del passeggere – conduce il suo interlocutore alla ricerca della verità, mostrandogli infine il vero volto delle cose, “l’arido vero”.
Leopardi afferma il primato della ragione sulle illusioni degli uomini con sguardo fermo e lucido, analizza la faccenda con un assoluto dominio intellettuale che si serve del distacco ironico per giungere infine al nocciolo duro della verità.
Al termine del dialogo la risposta alla domanda iniziale: “Credete voi che sarà felice questo anno nuovo?” potrebbe essere completamente ribaltata. Tuttavia raggiunto il culmine della dimostrazione pessimistica resiste inaspettata una forma di attaccamento alla vita.
La battuta conclusiva del venditore è:
Speriamo
In quell’ultima frase Leopardi sembra racchiudere una forma di fraterna pietà per tutti i suoi simili, cingere gli esseri umani in un abbraccio solidale, poiché in fondo condividono un destino comune. Malgrado sia ormai caduta ogni illusione, la speranza resiste. Di fronte all’ultima provocazione del viandante, il venditore risponde semplicemente: “Speriamo”. E il dialogo si conclude con il passeggere che acquista il lunario più bello del venditore.
Il dialogo di un venditore di almanacchi e un passeggere è una delle Operette morali meglio riuscite di Giacomo Leopardi: la prosa è pervasa da una sagace ironia, da uno scambio di battute vivace e concitato e, infine pur nel pessimismo più cupo, sembra brillare inaspettato il lume di una speranza.
Quel sottile barlume di speranza non è mai venuto meno nel corso dei secoli. Persino noi, uomini del terzo millennio, guardiamo a quella conclusione con un sorriso e ripetiamo la battuta del venditore. Perché siamo umani e, in fondo, abbiamo bisogno di quell’illusione che il 31 dicembre porta con sé, di credere che con l’anno nuovo “principierà la vita felice”.