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“Mie notti con Qoelet”, le parole di David Maria Turoldo come Leopardi conoscitore di Qoelet

by Roberto Tanoni

“Mie notti con Qoelet”, le parole di David Maria Turoldo come  Leopardi conoscitore di Qoelet

  Il sacerdote-poeta morì trent’anni fa, lo stesso anno in cui pubblicò uno dei suoi ultimi libri. Un dialogo intenso con uno dei testi più anomali della Bibbia (quello di Qoelet), che ancora oggi  fa parlare   chi crede e  chi no come appunto il sacerdote Turoldo ed Erri de Luca…

 … è “Qoèlet” o “Kohèlet / Ecclesiaste” nella traduzione libera e poetica di Erri De Luca, o ancora “Qohélet. Colui che prende la parola”, splendido sottotitolo di una traduzione letteraria e misteriosa di Guido Ceronetti, forse la più bella. “La provvidenza ha voluto che questo libro rientrasse nel canone sacro. Lo si legge in forza di questa assunzione, ma sempre un lettore si chiede cosa ci stia a fare K. nell’Antico Testamento. E si risponde, se crede: ‘amen’, verità” scrive De Luca nell’introduzione di un libro che nel corpus biblico è definito – come altri: “Rut”, “Cantico dei cantici”, “Lamentazioni”, “Ester” – Sapienziale, “sì, qualora sia data alla Sapienza licenza piena di farneticare, di essere, da quanto si crede nel quotidie  arcanamente altro” scrive senza troppo girarci intorno Ceronetti.

 

Ma cosa racconta “Qoelet”? Nulla, non racconta, dice. Una voce solitaria nel deserto, “sotto il sole”, pronuncia dodici meditazioni tragiche e dolenti su temi quali il bene e il male, la vanità della vita (“Vanità delle vanità, dice Qoèlet, / vanità delle vanità, tutto è vanità”) e il senso delle proprie azioni, suggerendo un anelito verticale come soluzione (“Abbi fiducia nel Padre e segui le sue indicazioni”), anelito che però non sembra rispondere del tutto alla sofferenza rabbiosa dell’uomo Qoèlet (“Gravarsi di conoscere / Fa traboccare il dolore” traduce Ceronetti gli ultimi due versi della prima meditazione). Quantomeno per chi ha fede, sarà il resto del Libro sacro a rispondere del tutto alla domanda che lo falcia, tracimando dalla bocca crocchiante di sabbia di Qoèlet.

Con “Qoelet” David Maria Turoldo intraprese un dialogo in forma di poesie e meditazioni che continuò anche con il “Cantico dei Cantici” e “Il libro di Giobbe”. Venne racchiuso nella raccolta “Mie notti con Qoelet”, pubblicata nel 1992, l’anno della morte di Turoldo, di cui ricorre il trentesimo anniversario (6 febbraio 1992). Sacerdote, mistico, intellettuale, profeta (nel senso di uomo capace con le proprie parole di trafiggere il proprio tempo e il nostro), Turoldo fu un poeta, tra i più grandi del Novecento e della poesia cristiana dello scorso secolo, al pari di Rebora e Testori. Visse dal 1964 a Fontanella, frazione di Sotto il Monte, dove fondò nell’antico Priorato cluniacense di Sant’Egidio una nuova esperienza religiosa comunitaria (qui una biografia dettagliata), che comprendeva anche persone laiche. Accanto fece costruire “Casa di Emmaus”, che dal 1967 dava ospitalità a credenti e non credenti in ricerca (oggi ha sede la casa editrice Servitium).

Con le sue parole, Turoldo sapeva parlare ai credenti ma anche a chi non crede, paradossalmente forte di una fede conturbante, contrastata, che non aveva mai pace. Ma era una fiamma che accendeva i suoi versi, avvicinandoli a tutti. “Padre David – ha scritto il critico letterario Carlo Bo – ha avuto da Dio due doni: la fede e la poesia. Dandogli la fede, gli ha imposto di cantarla tutti i giorni”.

“Mie notti con Qoelet” è un libro piccolo ma profondissimo, che trovai qualche anno fa in un Libraccio di Savona, ad un prezzo irrisorio, inversamente proporzionale alla sua potenza: Turoldo consuma otto notti sulle parole di Qoèlet, ne forgia nove poesie, dialoghi con Qoèlet come tentativi di illuminare la notte del “Tutto-Nulla che contiene l’universo” (come scrive nella prima sezione del libro, dal titolo programmatico “Mendicanti di Dio”). E alla fine chiude con una “Profezia antica”, annotando che fu quella “il primo spiraglio di luce a forare la tenebra della mia prima lettura dell’opera di Qohelet”.

Non possiamo pensare a Leopardi e alla sua ‘Vanità del tutto!!! e del Nulla eterno!!!. Giacomo aveva letto e approfondito Qoelet e Giobbe e si era sottomesso al volere del destino dotandosi della pazienza di Giobbe!

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